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“ We don’t win what we don’t fight for” Elizabeth Warren

Reagire alla precarizzazione esistenziale si può.

«Un risultato storico frutto della nostra lotta: finalmente la società ha ascoltato la nostra voce e ci riconosce i diritti dei lavoratori» queste le parole di Yiftalem Parigi, il rider eletto rappresentante sindacale di Just Eat a Firenze col Nidil alla notizia che finalmente la società Just Eat- sulla base del modello di consegna a domicilio Scoober già attivo in altri paesi europei – dal 2021 inquadrerà i riders come lavoratori dipendenti.

In questo modo i riders otterranno una vera e propria paga oraria e beneficeranno di tutte le tutele derivanti da un normale rapporto di lavoro subordinato.
Introdurre in Italia il modello di consegne a domicilio Scoober significa mantenere la flessibilità intrinseca all’attività, ma al contempo prevedere una vera e propria paga oraria, la quale corrisponderà , non come accadeva in passato alle singole consegne, ma bensì all’intero turno coperto dal rider.

Finalmente una prima tutela per i riders, con la speranza che le altre società di food delivery seguano questa direzione.

E’ bene ricordare che i riders sono stato oggetto di grandi lotte in quanto la loro condizione lavorativa è davvero drammatica : vengono pagati come lavoratori autonomi, per 3 o 4 euro lordi a consegna, a cottimo, con assicurazione a loro carico.

Pertanto si capisce l’urgenza di trovare una nuova forma di tutela nei loro confronti, a maggior ragione se ci soffermiamo sul ruolo sociale svolto dai ciclofattorini durante la pandemia che stiamo vivendo.


Siamo di fronte ad una grande svolta che , in un momento buio come quello attuale ci fa intravedere uno spiraglio di luce in tema di diritti e libertà.

Purtroppo, infatti, da anni si assiste a un progressivo smantellamento dello stato sociale e le scelte delle politiche neoliberiste (primo fra tutti il jobs act) hanno ridotto il lavoro a mera merce il cui unico fine, nella nostra società , è quello di aumentare e massimizzare i profitti a discapito dei diritti delle persone che lavorano, che vengono visti come costi di produzione e risorse e non più come essere umani.

Ben diversa è l’impostazione, da Hegel, che affermava che il “il lavoro è una dimensione fondamentale dell’essere umano: è mediazione tra l’uomo e il mondo, tra i bisogni del primo e i mezzi che quest’ultimo offre”, alla nostra Costituzione del 1948, che prevede diritti fondamentali e garanzie di natura costituzionale quali la garanzia del diritto al lavoro (artt 4 e 35 Cost), la retribuzione atta ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa espressamente prevista dall’articolo 36 Cost, ma anche la partecipazione attiva alla sfera pubblica, fulcro della pari dignità dell’articolo 3, 1 comma, poi resa esplicita nel comma successivo il quale mira a rimuovere gli ostacoli di natura economica e sociale che “impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Con la recente sentenza n.194/2018 del 9.11.2018 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del cd. Jobs act (d.lgvo n.23/2015) nella parte in cui prevedeva che l’indennizzo in caso di licenziamento illegittimo fosse ancorato all’anzianità di servizio, affermando che “il forte coinvolgimento della persona umana qualifica il diritto al lavoro, come diritto fondamentale, cui il legislatore deve guardare per apprestare specifiche tutele”

La stessa sentenza richiama il nesso tra diritti della persona e lavoro, nel solco della giurisprudenza costituzionale consolidata (cfr. tra le tante, Corte Cost. n.63/ 1966 e Corte Cost. 163 / 1983).

La vicenda riders è emblematica della situazione attuale, che presenta disagio, mancanza di sicurezza, di tutela e stabilità lavorativa creati dal neoliberismo con lo smantellamento dello stato sociale.

Se da una parte (cfr. Marta Fana “ Non è lavoro, è sfruttamento” Laterza 2018) si parla di precarizzazione esistenziale, perché la mancanza di stabilità lavorativa impedisce di fare progetti, Ilaria Possenti, nel suo testo “Flessibilità” (Ombre Corte 2012) rappresenta lavoratrici e lavoratori a tempo determinato, che operano senza spazi e tempi definiti, senza diritti e certezze, precari, un termine che deriva dalla radice “ prek” di preghiera, di chi implora concessioni da soggetti superiori.

Il lavoro flessibile, sfornito di alcuna tutela , d’altra parte, rende più difficili i processi di comunicazione, partecipazione e conflitto, ineludibili per i percorsi di cittadinanza consapevole e responsabile dentro e fuori i luoghi di lavoro.

E invece oggi la società Just eat ha fatto un passo in avanti in tema di diritti dei lavoratori; inquadrare i riders come lavoratori dipendenti significa garantire loro l’effettività dei diritti minimi inderogabili sanciti dalla legge, a partire dal riconoscimento di una retribuzione dignitosa e dalla garanzia della salute e sicurezza.

Il richiamo ai principi costituzionali, che considerano il lavoro fonte di esistenza dignitosa, necessario presupposto per la partecipazione alla vita democratica, è a mio parere uno degli elementi per reagire alla rottura dei legami sociali, all’individualismo che provoca competizione, risentimento, ricatti e aprirci a pensieri e pratiche di miglioramento delle condizioni di vita.

Avv. Annamaria Del Chicca

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