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Fare Giustizia prendendosi cura?

Se ripenso alle mie esperienze nell’ambito professionale di avvocata e nelle istituzioni ma anche nella mia vita privata, mi accorgo che quando ho messo la cura al centro delle relazioni tra persone e nelle pratiche si e’ operato un cambiamento di senso perche’ il paradigma della cura ha prodotto qualita’ nei rapporti e nelle relazioni .

Penso ai beni comuni, oggetto costante della “ cura” al tempo della difesa civica, l’aria, l’acqua, la terra ,la citta’,chi la abita,ma anche il lavoro, gli affetti, le relazioni.

La teologa tedesca Ina Praetorius (Penelope a Davos Quaderni di Via Dogana 2011)si pone l’interrogativo di cosa avviene se provo a considerare il mondo intero, anziche’ un mercato, un ambiente domestico, un luogo cioe’ dove si fanno cose che contribuiscono visibilmente e direttamente a far star bene le persone, a cominciare da se stesse e propone di pensare il mondo a partire dalle esperienze reali di chi lo abita, un ambiente domestico come ambito in cui si vive e si lavora, dove la dipendenza le\gli une\i dalle\gli altre\i non e’ debolezza ma normalita’ perche’ tutti noi esseri umani siamo per alcune fasi attivi o stanchi, capaci di lavorare o disabili, pieni di energia o depressi.

In questa prospettiva , “ un agire volto al nutrimento dell’umana convivenza” e’ stata per me la Difesa Civica, quando non ci si limitava alla relazione tra cittadinanza e ente locale, alla tecnica o alla corretta gestione, ma si chiedeva da parte di tutti presa di conoscenza , di parola, di responsabilità.

Nell’ambito professionale, anche di fronte a violazioni di diritti e lesioni di beni fondamentali, secondo me e’ cura scegliere di far leva sulle risorse dei soggetti coinvolti, mai relegati nei ruoli di vittima e nelle relazioni

interpersonali sottrarsi alla misura del potere e del denaro fine a se stesso, per riconoscere la priorita’ del benessere comune.

Mi piace pensare e accorgermi con sguardo aperto e senza pregiudizi che, anche in periodi difficili e pesanti come quello che attraversiamo,siamo in tante a coltivare questo desiderio, questo pensiero e questa pratica, a farla vivere e dare frutti, in tante e diverse forme, luoghi e modi.

“…il conflitto che deve essere riconosciuto e agito senza sconfitta e umiliazione di nessuno…”scrive Daniela e , secondo me, il paradigma della cura consente il conflitto proprio perche’ e’ un modo non violento e ,secondo la mia esperienza , in molti casi, efficace di soluzione. Provo a spiegarmi: posso esprimere il mio punto di vista,anche in contrasto con l’altra/o, solo se ho fiducia nella relazione e so che la pluralita’ di posizioni arricchisce la discussione e consente un livello piu’ pieno di soddisfazione condivisa. Questae’ la scommessa del cd. ” diritto collaborativo”, che richiede una capacita’ dimettersi in gioco su basi comuni di ricerca della migliore possibilita’ di soluzione, con forte connessione ai dati di realta’. In questo senso, cura e conflitto sono compatibili perche’ la prima cura e’ per se’, per la nostra nautenticita’ che si puo’ alimentare solo nel nominare le cose come ci appaiono, aperte al contatto/confronto/conflitto con l’altra/o . E’ una pratica che richiede forza , e di forza le donne tanta ne hanno; non a caso, il nostroprossimo appuntamento sara’ il lavoro su ” sensibili guerriere………

Aggiungo alcune parole di Irene Strazzeri, dall’ultimo Via Dogana ,non a caso intitolato” farsi giustizia” che condivido in pieno “…il riferimento alla politica delle donne diventa necessario ,man mano che la politica seconda (istituzionale /neutra maschile ndr) impara a riconoscersi come tale . Seconda alla coesistenza, seconda alla sopravvvivenza (mai come ora e qui!!!!ndr) Se il conflitto si presenta come necessita’ e se si e’ capaci di coglierlo come tale, il desiderio non andra’ verso il riconoscimento della nostra soggettivita’ nelle forme di un assoggettamento a una giustizia estranea alle nostre pratiche.

…..Vorrei dirigere le mie pratiche di giustizia al capovolgimento dei rapporti di forza in libere relazioni, con l’indicazione dell’empatia e del buon senso, simbolicamente, perche’ il riconoscimento tra donne si offre, non si conquista con la lotta. ..”

Pubblicato su www.evelinademagistris.it

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