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Donne stressate o lavoro stressante?

Intervento al Convegno 26.1.2019 Museo Storia Naturale Livorno

Soroptimist International d’Italia – Ordine degli psicologi Livorno

Professionalità a confronto sulla prevenzione cardiovascolare

Apprezziamo anzitutto la scelta di chi ha organizzato il convegno di affrontare la questione con un approccio interdisciplinare: il raffronto tra diversi contenuti e linguaggi consente una comprensione dei fenomeni e un intervento volto al miglioramento.

Gli aspetti legali della prevenzione del rischio cardiovascolare riguardano:

– la normativa vigente a livello italiano e europeo

– l’applicazione giurisprudenziale di tale normativa

– gli obblighi di prevenzione

– con lettura di differenza sessuale .

– riferimento a buone pratiche

La normativa

Secondo l’Accordo Europeo sullo stress lavoro correlato del 2004, lo stress è “una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro”.  Lo stress lavoro-correlato interessa quindi ogni luogo di lavoro e ogni lavoratrice o lavoratore perché trova la sua causa da aspetti diversi strettamente connessi con l’organizzazione e l’ambiente di lavoro.
In Italia, il d.lgs. 81/2008 obbliga i datori di lavoro a valutare e gestire il rischio stress lavoro-correlato come tutti gli altri rischi, in relazione ai contenuti dell’Accordo europeo, recepito nella normativa italiana.

L’art.28 prevede l’obbligo di valutare i rischi con riferimento vincolante all’accordo europeo ed indica i fattori di individuazione :

– un’analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.),

– le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.),

la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.)

-e i fattori soggettivi ( pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.).

Quando lo stress da lavoro è identificato, il datore di lavoro ha la responsabilità di stabilire le misure adeguate da adottare e attuare con la partecipazione e la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti.

Le misure per attenuare il rischio riguardano :

– misure di gestione e comunicazione in grado di chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore,di assicurare un sostegno adeguato da parte della direzione

ai singoli individui e ai team di lavoro, di portare a coerenza responsabilità e controllo sul lavoro, di migliorare l’organizzazione, i

processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro

. la formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro

consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo in cui affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento

•l’informazione e la consultazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti , in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alle prassi.

La giurisprudenza

La giurisprudenza si è occupata delle vicende con numerose pronunce, tra cui mi preme ricordare la recente sentenza 5 marzo 2018 n.5066 la Cassazione ribalta la precedente decisione della Corte d’Appello che aveva rigettato il ricorso della lavoratrice dipendente di una importante e nota azienda editoriale – la quale chiedeva la condanna dell’Inail al pagamento della rendita per inabilità permanente in relazione alla “malattia professionale da lei contratta a causa dello stress lavorativo dovuto ad un numero elevatissimo di ore di lavoro straordinario e consistente in un grave disturbo dell’adattamento con ansia e depressione.”

 La Corte d’Appello aveva rigettato il ricorso di A.P. sostenendo che “tale malattia non sarebbe stata indennizzabile dall’Inail perché non rientrava nell’ambito del rischio assicurato ex articolo 3 T.U. 1124 del 1965” in quanto “correlata a scelte di organizzazione del lavoro in ambito aziendale che non sono considerate rischio assicurato dal TU e che non risultavano suscettibili di incidere sulla determinazione del premio dell’assicurazione obbligatoria, che come in qualsiasi contratto di assicurazione, copriva, per evidenti esigenze di corrispettività, soltanto i rischi considerati”.

 Secondo la ricorrente, invece, la sentenza della Corte d’Appello aveva violato l’art.2087 c.c., gli articoli 3 e 211 del D.P.R. 1124/65, l’articolo 10 c.4 del D.Lgs.38/2000 nonché l’art.28 del D.Lgs.81/2008, l’Accordo Quadro Europeo dell’8/10/2004 sullo stress lavoro-correlato e l’Accordo interconfederale del 9 giugno 2008.

 La Cassazione dà ragione alla ricorrente riconoscendo il suo diritto alla rendita per inabilità permanente e fa così il punto sul concetto di “rischio tutelato” in base all’art.1 del TU delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. La Corte sancisce che, “secondo un risalente e consolidato orientamento giurisprudenziale, in materia, rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio; ossia non strettamente insito nell’atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa: come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ex art. 1 TU in materia di infortuni sul lavoro” .

In conclusione – sottolinea la Cassazione nella sentenza in commento – “l’approdo, cui conduce questo lungo excursus, porta ad affermare che, nell’ambito del sistema del TU, sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l’organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione; dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica (come peraltro prevede oggi a fini preventivi l’art.28, comma 1 del tu. 81/2008).”

 Tale approccio trova la sua ragion d’essere nel “fondamento della tutela assicurativa, il quale ai sensi dell’art.38 Cost., deve essere ricercato, non tanto nella nozione di rischio assicurato o di traslazione del rischio, ma nella protezione del bisogno a favore del lavoratore, considerato in quanto persona; dato che la tutela dell’art.38 non ha per oggetto l’eventualità che l’infortunio si verifichi, ma l’infortunio in sé; ed è questo e non la prima l’evento generatore del bisogno tutelato, sia in termini individuali che sociali, posto che, come riconosciuto dalla Corte Cost. l’“oggetto della tutela dell’art. 38 non è il rischio di infortuni o di malattia professionale, bensì questi eventi in quanto incidenti sulla capacità di lavoro e collegati da un nesso causale con attività tipicamente valutata dalla legge come meritevole di tutela”(sentenza n.100 del 2.3.1991)”.

Il nostro lavoro per far valere questo diritto al risarcimento danno consiste nell’accompagnare la persona, attraverso il patronato nella richiesta all’Inail del riconoscimento della malattia professionale, con conseguente liquidazione di indennità e / o rendita, e , in caso di contestazione , sostenere il giudizio.

L’Inail ha peraltro previsto una serie di obblighi di prevenzione in un manuale d’uso, disponibile in pdf su Internet .

La lente della differenza sessuale

Lo sguardo della differenza consente di osservare che lo stress lavorativo per le donne è spesso doppio perché a quello lavorativo si aggiunge quello da lavoro di cura in famiglia”.
Infatti secondo i dati di un indagine Istat, “mentre i lavoratori maschi dedicano in media 2 ore al giorno per assistere i famigliari, le donne ne dedicano in media 5 e mezza”, e il “superlavoro stressante delle donne costa caro alla loro salute non solo nella vita di tutti i giorni, ma anche a lungo termine”.
Uno studio, che ha seguito 105.560 residenti di Torino dal 1991 al 2005, ha messo in rilievo che le donne con il “doppio carico” “hanno un rischio maggiore per malattie coronariche e questo rischio è raddoppiato per donne lavoratrici non sposate con figli”.
Inoltre come si sa, lo “ stress incide in maniera pesante sul sistema endocrino con noti effetti sul ciclo mestruale e sulla salute riproduttiva delle donne”: anche “la fertilità e gli esiti della gravidanza possono essere influenzate dallo stress lavorativo”.
La prevenzione degli infortuni e degli episodi di violenza nel mondo femminile risulta oggi particolarmente urgente perché , come è noto, le donne stanno entrando sempre più numerose nel mondo del lavoro (anche in mansioni precedentemente riservate agli uomini), gli infortuni tra donne sono in aumento e le donne infortunate sono spesso vittime di discriminazione e licenziamenti.
Il decreto legislativo 81/2008 così come le successive integrazioni del correttivo 106/2009 ), individua specificamente lo “stress lavoro correlato” come uno dei rischi professionali e mostra come la prevenzione di questi rischi richieda il riconoscimento delle differenze di

genere. (articolo 6, let L).

Per la prima volta, in linea con le priorità del programma europeo (strategia comunitaria per la salute e sicurezza sul lavoro2002/2006), viene richiamata l’attenzione sulla diversa modalità di risposta , agli stessi rischi, che hanno le lavoratrici rispetto ai lavoratori.

Grazie a quest’evoluzione normativa si favorisce la diffusione di una cultura che adotti una “gender lens” in materia di salute e prevenzione; si stabilisce, come nuovo obiettivo, quello di garantire sul lavoro, non solo la salute riproduttiva ma anche la salute in senso generale.

Si pone, quindi, in evidenza la valorizzazione e specificità, nell’ambiente di lavoro,dei due sessi durante tutto l’arco della vita lavorativa .

Buone pratiche

Le esperienze più interessanti di questi anni sono state effettuate dai Cug e dalle commissioni pari opportunità delle professioni, in confronto con Inail, per narrare un diverso mondo del lavoro, col​

punto di forza dato dalla validazione delle indicazioni attraverso la stretta collaborazione con realtà lavorative pubbliche e private .

Preme a questo proposito ricordare un recente convegno tenutosi nel novembre 2018 a Roma

Simona Cerrai, per il CUG dell’Agenzia regionale per l’ambiente Toscana, ha sottolineato l’importanza del ruolo dei CUG delle Agenzie ambientali, ora riuniti nella Rete CUG SNPA (aderente al Forum CUG, delle Pubbliche Amministrazioni, che riunisce 141 Amministrazioni) per il raggiungimento delle pari opportunità di genere e così promuovere nelle proprie organizzazioni:

  • il confronto critico di modelli stereotipati rimuovendo le differenze o imponendo nuove regole;
  • la cultura (e memoria della differenza) attraverso strumenti critici per leggere la realtà, rendere visibili le regole che legano le nostre vite per svelare la falsa naturalità di ruoli e attitudini;
  • l’adozione di un linguaggio sessuato per i ruoli professionali ricoperti da donne per riconoscere loro la propria dimensione professionale, sociale, culturale;
  • l’adozione di un linguaggio di genere rispettoso del genere nella stesura di Atti e Regolamenti;
  • il confronto (anche all’estero) per produrre cultura del cambiamento .

Su queste basi, in un mondo del lavoro sempre più complicato per la flessibilità, la mancanza di tutele, il mancato turn -over, possiamo resistere e mantenere la salute e il benessere .

Maria Pia Lessi e Antonella Faucci Avvocate

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