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Paestum

Nella lettera che ci ha chiamate a Paestum si delineava ” una prospettiva inedita:quella di liberare tutto il lavoro di tutte e tutti, ridefinendone priorità, tempi, modi, oggetti, valore/reddito e rimettendo al centro le persone, nella loro vitale, necessaria variabile interdipendenza lungo tutto l’arco dell’esistenza, e avendo a cuore, con il pianeta, le persone che verranno”.

Ida Dominijanni sul Manifesto del 03.10.2012, prima dell’incontro, ci ricordava che ” nel campo del lavoro, bisogna decodificare opportunità e trappole della femminilizzazione” oggi richiesta e promossa dal mercato e dai media: qui l’elaborazione femminista sul rapporto fra lavoro e cura, produzione e riproduzione diventa il cuneo per rimettere la vita e l’interdipendenza al centro del discorso sulla crisi economica e di civiltà in cui viviamo” e dopo Paestum ha cosi’ ricostruito sul Manifesto del 09.10.2012 quanto e’ accaduto.

“Non è però tanto la rappresentanza quanto il lavoro a prendersi prepotentemente la scena, e ben più della sessualità di cui invece si parla poco o niente. Ma qui il lavoro non è solo quello che c’è e quello che non c’è, quello garantito e quello precario, quello fisso e quello intermittente: è prima di tutto investimento di energia e di desiderio, progetto di sé e relazione con altre e altri, realizzazione o delusione, racconto d’esperienza, spesso ferito dalla mancanza di restituzione. E’ anche il tema su cui più si affaccia, e si decostruisce, il conflitto generazionale. La condizione precaria, subìta come impedimento all’emancipazione ma anche rivendicata come occasione per uscire definitivamente dal fordismo a misura maschile (Celeste Costantino), traccia la linea dell’identificazione delle più giovani rispetto al femminismo «storico», troppo approssimativamente assegnato all’età d’oro del lavoro e dei diritti. E’ un’identificazione comprensibile, ma che non fa i conti con la precarizzazione del lavoro e delle vite che coinvolge tuttea tutte le età (Alisa Del Re). E rischia altresì di imprigionare nella condizione oggettivata del «precariato» l’articolazione soggettiva delle esperienze, delle scommesse, dei desideri che decide delle singolarità, e che può fare la differenza della pratica femminile nel movimento dei precari o nella rivendicazione del reddito di esistenza, che alcune (il gruppo delle «Diversamente occupate») pongono come condicio sine qua non di qualunque possibilità di autodeterminazione femminile oggi. Vale anche qui il richiamo a non regredire a una concezione economicistica o sociologica della condizione femminile (Loretta Borrelli ), e a decostruire le formule in cui i contrasti generazionali possono incistarsi invece di aiutare la modificazione collettiva”.

Le ragazze del Collettivo “Diversamente occupate” avevano parlato di reddito di cittadinanza nell’intervento ” Verso Paestum, a partire da noi del 19.09.2012″ in cui descrivevano il mercato come a tempo determinato, frammentato, precario, instabile, questo si traduce in espropriazione e isolamento. E il risultato è una precarietà, lavorativa ed esistenziale, che ci schiaccia sul presente, togliendoci tempi e spazi di condivisione, che vanno ri_pensati e ri_costruiti” e affermavano : ” Noi mettiamo al centro le condizioni materiali di vita delle donne, dentro e fuori il mondo del lavoro. Liberare il lavoro di tutte e tutti deve assumere oggi uno spostamento che toglie il lavoro dal centro – in un atto che non è di perdita ma di potenziamento.

E’ una liberazione che passa dal superamento del modello di stato sociale disegnato addosso al maschio, bianco, operaio, lavoratore a tempo pieno, cittadino di diritto dello stato sociale che le donne non hanno mai pienamente abitato e che ora è, evidentemente, entrato in crisi. Il reddito di esistenza è una delle nostre battaglie, delle donne soprattutto, perché rappresenta l’alternativa al ricatto di fare di noi stesse una risorsa umana e la possibilità di sottrarsi al doppio sì (sì alla famiglia, sì al lavoro). E’ la strada per arrivare, finalmente, ad una cittadinanza compiuta. E’ la nostra scommessa sul futuro perché porta in carico una pratica di trasformazione radicale dell’esistente ridisegnando un nuovo immaginario in cui le nostre vite non siano subordinate al lavoro o alla mancanza del lavoro. Inoltre, agisce sulla liberazione dalle gabbie che molto spesso, anche per un sistema di welfare tutto familistico, ci siamo trovate costruite intorno. In un momento in cui la crisi agisce anche su un modello antropologico, dobbiamo trasformare il rischio di caduta verticale verso una ridefinizione del patriarcato più forte e violenta in possibilità che quel modello venga una volta per tutte superato. Dobbiamo provare ad incidere sulla politica e sul quotidiano: nell’aumento delle disuguaglianze, la famiglia non è più garanzia né risposta, bisogna fornire a tutte e tutti pari possibilità di autodeterminazione”.

” Reddito di cittadinanza, dunque” , come ha scritto Cristina Morini, ” reddito di esistenza per rafforzare le scelte delle donne, la loro possibilità di autodeterminazione, la loro capacità di negoziazione in un mercato del lavoro precarizzato, dando loro, concretamente “sicurezza”, consolidando possibilità di difesa, migliorando le condizioni materiali del vivere. Viceversa, in nome del “lavoro di cittadinanza”, buona parte della società, in primo luogo le donne continuerà a produrre “valore” gratuitamente, invisibilmente, priva della possibilità effettiva di uno “scarto”, di un’alternativa. Solo attraverso il riconoscimento di tutte le contraddizioni soggettive oggi rappresentate dalla condizione lavorativa femminile, è possibile pensare non solo una teoria economica differente ma anche un percorso di liberazione per tutti, uomini o donne che si sia”.

E ben sappiamo che il denaro , se intorno a noi tutto e’ privato, privatizzato o privatizzabile, non basta: e’ il reddito indiretto, sono i servizi pubblici, che ci permettono di migliorare le condizioni di vita, anche con un reddito diretto basso. Trasporti, sanita’, scuola e universita’, cultura.

Aggiungo che Bia Sarasini, nel concludere i lavori del gruppo 4 , ha raccolto alcune risposte per diffondere l’energia buona di Paestum:

1) ripetere l’appuntamento annuale di Paestum;

2) convegni tematici su: – rappresentanza/politicadelle donne

– lavoro/cura

– sessualita’

3) rendere forti le esperienze locali attraverso una rete nazionale e internazionale ( donne No Tav, femminismo disarmista delle donne del Dal Molin di Vicenza, Citta’ felice di Catania…ma anche i gruppi che lavorano sui beni comuni).

4) prendersi cura della democrazia con controinformazione, scambio dei saperi, conflitto creativo .

5) analisi e approfondimento sul reddito di cittadinanza.

Penso che anche noi, a Livorno, ricche delle relazioni con le “diversamente occupate” e con quant@ hanno desiderio di mettersi in gioco su questi temi, possiamo provarci

Maria Pia Lessi

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